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Trento, 5 luglio 2017
ANCHE OGGI CI INDIRIZZA DON MILANI
di Lucia Coppola
dal Trentino di mercoledì 5 luglio 2017


Da insegnante e da cittadina ho apprezzato la visita di Papa Francesco in quel di Barbiana, sulle orme della splendida figura di don Lorenzo Milani. Un'importante restituzione, un doveroso riconoscimento che ci interroga e ci coinvolge sul senso profondo dell'educare oltre che dell'istruire. In questi tempi foschi e talvolta privi di speranza e di profeti coraggiosi che indichino la strada, credo ci sia molto bisogno di educazione civica, sociale, umana.

Don Milani e la sua centralità di uomo, di religioso e di educatore appartiene a credenti e laici, a coloro che credono nei valori dell'uguaglianza, della testimonianza civile, del diritto allo studio, alle pari opportunità.

I suoi metodi educativi, la sua storia, dovrebbero essere studiati e approfonditi nelle aule scolastiche e universitarie, riscoperti e seguiti nelle sue innovative e sempre attuali visioni pedagogiche, didattiche, sociali.

Poco prima di andare in pensione sono stata a Barbiana, nella sua scuola. Sbagliando strada mi inerpicai, quel mattino luminoso e ancora caldo d’autunno, sulla ripida mulattiera che conduce al piccolo paese dell’Appennino toscano, ora abbandonato. Poche case, la chiesa, la canonica, la scuola. Quello che percorsi, lo appresi in seguito, era l’antico sentiero tra gli alberi utilizzata quotidianamente da don Milani.

Mi resi conto allora, come in un involontario pellegrinaggio, della fatica di quella salita, emblematica dello sforzo del Priore di Barbiana nel portare l’istruzione e la cultura in un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini. Vi era stato spedito dal suo vescovo per punizione, ma trovò la ragione della sua vita tra quei ragazzi pesantemente segnati dall’isolamento, dalla povertà, dal lavoro precoce. Eppure così recettivi, pronti, maturi. Così fieri di appartenere ad una classe sociale, quella degli umili, che in condizioni normali li avrebbe tagliati fuori dai saperi e dalla cultura, dall’arte e dalla storia.

Persino dall’attività fisica, perché don Milani pensò anche a quella, in termini di salute e attenzione al proprio corpo come a un diritto per tutti.

Essere poveri non era una colpa e non poteva essere la causa delle differenze di opportunità, dei privilegi di casta o di classe, senza che mai venisse preso in considerazione l'effettivo merito e la volontà di riscatto. Questo mi raccontavano i muri scrostati, i rampicanti, le voci sommesse dei pellegrini.

Visitai le aule, essenziali eppure ricche di opportunità cognitive. Mi sedetti a mangiare un panino sul bordo della piscina rudimentale, dove i ragazzi avevano imparato a nuotare, nel silenzio carico di segni e presagi.

Nella vegetazione rigogliosa, tra i rampicanti che avevano invaso i muri sbrecciati, come liane nella foresta pluviale.

E immaginai quei ragazzini, le braghe corte, i maglioni fatti a mano, i volti abbronzati già segnati dalla fatica, le mani forti.
La curiosità negli occhi e l’amore incondizionato per quell’uomo solido e visionario, imponente e autorevole, di ottimi studi e di buona famiglia, che aveva rinunciato per loro agli onori, alla carriera, agli affetti familiari. Mettendosi contro tutti: autorità civili, ecclesiastiche e militari.

Pensai alla famosa “professoressa” che non si curava degli umili, che li dimenticava negli ultimi banchi della scuola e della vita. Guardai gli sci di legno appesi alle pareti, le carte geografiche, i mille strumenti che parlavano di matematica e astronomia, di grammatica e di cultura materiale, di lingue straniere e di lavoro.

Spesso, in quella giornata di settembre, nell’aria soffusa e lieve, nel chiarore vociante di uccelli del cielo chiaro, nei profumi dell’autunno, preludio di focolare e castagne, mi ritrovai a guardare in alto e dentro me.

A pensare al senso profondo del mio lavoro di insegnante. A commuovermi. Ero giunta alla fine della mia lunga carriera, al tempo dei bilanci. Che cosa della sua lezione era entrato a far parte del mio lavoro? Onestamente, e per quanto don Milani sia irraggiungibile per levatura morale, per santità e coraggio, per intelligenza e modernità, so che gli devo il poco o tanto di buono che ha segnato la mia “maestritudine”, come amo chiamare, prendendomi un po’ in giro, il sentimento profondo che ha fatto di me un’insegnante appassionata e appagata.

Quando sento che sono stata, nella mia vita, felicemente invasa da questo lavoro e dai “miei” bambini. Dal primo all’ultimo giorno.

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